H&M insensibile agli azionisti critici. Il fast fashion vota NO a una moda più equa
L'assemblea generale di H&M boccia due risoluzioni degli azionisti attivi: chiedevano salari dignitosi ai lavoratori e paghe legate a obiettivi socioambientali per i manager
L’assemblea generale 2019 degli azionisti del colosso del fast fashion H&M potrebbe non passare senza lasciare traccia, come invece quelle del recente passato. Perché quest’anno a Stoccolma una rappresentanza di azionisti critici si è accreditata tra i soci della multinazionale e ha portato con sé proposte concrete e il sostegno di 180mila di firme di consumatori. Consegnate, poche ore prima dell’assemblea degli azionisti, a Karl-Johann Persson (amministratore delegato di H&M, fondata dal nonno Erling) e dalla responsabile della sostenibilità Anna Gedda.
Ecco la consegna delle 180 mila firma al CEO di @hm. Senza neanche farci togliere i cappotti, ci ha ripetuto la solita storiella che abbiamo gli stessi obiettivi ma visioni differenti su come raggiungerli. Noi non molleremo un centimetro. E voi? #TurnAroundHM #LivingWageNow pic.twitter.com/UUHE98anxu
— CampagnaAbitiPuliti (@AbitiPuliti) May 7, 2019
Obiettivo: risvegliare la consapevolezza di chi non si fa troppe domande su cosa ci sia dietro agli ottimi risultati economici che la compagnia svedese della moda genera immancabilmente. Ottenuti invadendo il mercato e i guardaroba di capi d’abbigliamento a basso costo, senza tuttavia garantire a tutti lavoratori impiegati una retribuzione che li sollevi dallo stato di povertà. Lo aveva già dimostrato a settembre sorso uno studio che ha interessato le fabbriche H&M in Cambogia, India, Turchia e Bulgaria. Di concreto da parte della corporation, rimane poco o nulla: appena una promessa di pagare a 850mila lavoratori un salario dignitoso entro il 2018 e gli sforzi dell’azienda di presentare questo impegno come un grande successo. Anche se il CEO dell’azienda affermerà di non aver mai fatto tale promessa.
Certo, le criticità denunciate in H&M accomunano molti altri marchi e sono ancora presenti in varie fasi della filiera del tessile: in tema di diritti umani e sindacali, sicurezza sui luoghi di lavoro, ricadute economiche e sociali, e dell’impatto ambientale delle lavorazioni. Ma il problema rimane tutto.
Moda insostenibile: l’idea di un fondo per il salario dignitoso
A tutti i soci presenti all’appuntamento annuale è stato così chiesto da parte degli azionisti critici di votare sulla proposta presentata dalla Clean Clothes Campaign (CCC), coalizione internazionale da anni impegnata per la difesa dei diritti e per la sostenibilità e la democrazia economica della filiera del tessile.
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La risoluzione (contrassegnata come Item 9b) chiedeva che tutti i profitti realizzati nel 2018 dal gigante internazionale della moda fossero destinati a un fondo speciale, da mantenere «in vigore fino a quando i salari dei lavoratori non fossero almeno pari al livello di un salario vivibile». La risoluzione sostenuta anche dal gruppo di Fondazione Finanza Etica, partner della Campagna Abiti Puliti in Italia. Uniti in un fronte attivo sempre più ampio di soggetti votati alla promozione dell’uso responsabile degli strumenti finanziari.
H&M vota NO, ma la pressione aumenta
La risoluzione bocciata, tuttavia, è stata bocciata dalla maggioranza degli azionisti. Un’occasione persa perché «la creazione di questo fondo avrebbe reso H&M finalmente all’altezza della sua responsabilità di rispettare i diritti umani nella sua catena di fornitura, almeno in termini di salari», commenta Deborah Lucchetti, portavoce della Campagna Abiti Puliti.
L’amarezza ovviamente rimane: durante le settimane precedenti il voto, gli azionisti con maggiore influenza – soprattutto banche del nord Europa – erano infatti stati sollecitati attraverso una petizione ad hoc e l’invito ai consumatori di compiere pressione attraverso i loro canali social. Citando in particolare AP4, Alecta, Folksam, Nordea, Storebrand, Swedbank e la famiglia Persson (quella del fondatore e amministratore delegato in carica).
Il CEO di @hm ha detto che non avrebbero mai promesso un salario dignitoso a 850.000 persone entro il 2018. Davvero? Davvero? La promessa è conservata qui: https://t.co/ZcxhWy8Efk e ben documentata qui https://t.co/Lg53B430Wt #TurnAroundHM #LivingWageNow
— CampagnaAbitiPuliti (@AbitiPuliti) May 7, 2019
H&M fa spallucce anche sulle paghe ai manager
La partecipazione diretta degli azionisti critici all’assemblea di Stoccolma ha rappresentato il culmine della campagna Turn Around, H&M!, lanciata nel maggio 2018 da CCC in collaborazione con l’International Labor Rights Forum e WeMove.EU. Ma non solo.
Un’altra risoluzione (Item 15) è stata infatti presentata dalla Fondazione Finanza Etica con Meeschaert Asset Management (fondazione con sede a Parigi), che detiene 34.100 azioni di H&M. Entrambe le sigle sono membri fondatori di SfC – Shareholders for Change, una rete di dieci investitori europei che ingaggia le aziende sui diritti dei lavoratori, la fiscalità e le questioni legate al clima. La rete rappresenta oltre 23 miliardi di euro investiti in partecipazioni azionarie.
L’Item 15 chiedeva all’assemblea dei soci di stabilire che H&M includesse nuovi obiettivi di sostenibilità per la remunerazione dei dirigenti senior. Obiettivi precisi sul miglioramento della salute, della sicurezza e dei salari per i lavoratori lungo la catena di fornitura del gruppo. Ma anche questa risoluzione non ha avuto la maggioranza di voti favorevoli.
Good news: reputazione e profitti tirano verso l’etica
Tirando le somme, alla chiusura dell’assemblea rimane evidente la sostanziale chiusura del gigante del tessile ad assumere una maggiore responsabilità sociale verso la collettività, la battaglia sembra appena cominciata. Le crepe, che per ora non riesce ad allargare la sensibilità etica, potrebbero invece consolidarsi grazie alle paure per gli introiti futuri. Come dire, dalla moral suasion alla finance fear, interconnesse tra loro e legate dal rischio reputazionale.
«Un’azienda che non si preoccupa abbastanza per i diritti umani lungo la sua catena di fornitura espone sé stessa e i suoi azionisti a potenziali impatti negativi sui suoi ricavi e profitti» spiega Mauro Meggiolaro, responsabile per l’azionariato critico di FFE.
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Una prospettiva non sostenuta solo dal mondo della finanza etica. Non a caso il proxy avisory ECGS (Expert Corporate Governance Service), in vista dell’assemblea, consigliava infatti di votare a favore delle due proposte di CCC, FFE e Meeschaert. ECGS è una società di consulenza la cui missione è fornire strumenti di ricerca completamente indipendenti agli investitori istituzionali, per migliorare gli standard di governance delle aziende globali. Ovvero nel loro interesse.